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Corso di italiano per francesi, Cours d'italien pour français, Parigi, Paris, 7e arrondissement, 75007, Tous niveaux: débutant, intermédiaire, avancé, Tutti i livelli: principiante, intermedio, avanzato

Dialetti

Storia


Permettetemi di iniziare questa pagina con una banalità.
Nel corso della storia, guerre e dominazioni politiche, scambi commerciali e migrazioni hanno forgiato le lingue, permettendo loro di scambiare e condividere termini, radici di parole, espressioni, campi semantici. Ma le stesse lingue si sono anche isolate e rinchiuse su se stesse, quando certi scambi erano assenti oppure praticati con un referente esclusivo per un tempo sufficientemente lungo.
Ora, nell’ambito del Mar Mediterraneo, l’Italia ha sempre occupato una posizione geografica molto particolare, al centro obbligato di ogni scambio, approdo e tappa irrinunciabile di qualsiasi traversata. Tre delle più grandi isole del Mediterraneo sono situate di fronte alla sua costa tirrenica, quasi come dei bastioni o degli avamposti che facilitano difesa e scambio, ma anche attacco e assedio, se presi dai nemici. La Sicilia, per esempio, sembra un pilone di un ponte che porta in Africa.
Il più grande studioso del Mediterraneo è lo storico francese Fernand Braudel (v. Wikipedia in italiano ed in francese), ma la sua opera è vasta e – posso dirlo francamente? – occupa l’angolo della mia biblioteca dedicato ai libri che ho sfogliato con interesse e che spero di leggere un giorno.
Perché ne parlo qui, se lo conosco così poco? Ebbene, perché ho la chiara sensazione che il suo approccio storico-geografico consenta una importantissima spiegazione, forse la più importante di tutte, del formarsi delle lingue e dei dialetti in Italia. In realtà, gli scambi linguistici si mescolano profondamente con gli scambi culturali; riuscite, voi, ad immaginare qualcosa che si possa dire a proposito degli scambi linguistici che non possa applicarsi anche a quelli culturali?
E allora, percorriamo un attimo insieme il sommario di una delle opere di Braudel, la più piccola che ho (poco più di duecento pagine): La Méditerranée, Les hommes et l’héritage, curato da lui e da Georges Duby, ma scritto insieme ad altri quattro autori (fu pubblicato per la prima volta nel 1977; l’edizione che posseggo è quella di Flammarion, 1986).
1. Un seul dieu / 2. Le miracle romain / 3. La famille / 4. Migrations / 5. Venise / 6. L’héritage
Anche senza entrare nella trattazione dell’opera, ho sempre avuto l’impressione che questo sommario indicasse dei grandi temi caratterizzati da condivisioni tra popoli: religione, politica, modelli sociali, commercio…
L’Italia, poi, ha due coste marine notevoli: quella tirrenica, aperta verso gli altri, esposta ai viandanti; e quella adriatica, molto più “intima”, consacrata ad un solo dirimpettaio, quello serbo-croato, slavo del sud. Fra questi due mondi italici, l’Appennino ha praticamente le stesse funzioni di un mare, perché divide ed unisce al tempo stesso, ma con una caratteristica peculiare: è abitato e può filtrare con le sue genti i movimenti di persone, accogliere i viaggiatori, farli pernottare nelle locande, scambiare notizie, informazioni, modi di parlare, vini e formaggi.

Ecco, adesso che ho accennato alle coste e alle montagne, mi sento più pronto a parlare di storia; anche in questo campo, non ho grandi nozioni e sarò quindi un po’ superficiale.
Guardate per favore la pagina wikipediana sulla storia d’Italia. Cercate di contare grossolanamente, senza pretese di precisione, i popoli che sono transitati per l’Italia nell’antichità, gli Stati che l’hanno dominata verso il XV secolo; cito a caso: Etruschi e Fenici sulle coste tirreniche, Greci nelle regioni meridionali, Persi e altri popoli mediorientali; Arabi, naturalmente, soprattutto al Meridione. Intanto i Romani si spargono in tutto il continente europeo ed in parte di quelli africano ed asiatico; quando si occupa, si importa. Più tardi sarà il contrario: Francesi, Spagnoli, Austro-ungarici si passeranno il testimone per occupare e dominare diverse regioni italiane a cominciare, questa volta, dal Nord. Per un lungo periodo, poi, tutte le lingue assimilate nel corso della storia hanno l’occasione di radicalizzarsi, di impiantarsi richiuse su se stesse, in quei luoghi ed in quei periodi in cui i piccoli Stati si fanno guerricciole fra loro per disputarsi un fazzoletto di terra qua e là.
Cos’è allora l’italiano, come lingua? È sufficiente dire che è un’evoluzione del latino? No, a me, questa definizione non basta più.
Il latino poi, a parte i preti e qualche nobile ricco particolarmente istruito, non lo conosceva nessuno già dai tempi antichi, molto prima del XIII secolo, quando con Dante Alighieri si cominciò ad avere una letteratura in lingua volgare (il toscano), sulla quale qualcuno pensò più tardi di fondare una lingua italiana “ufficiale”. E quindi le lingue effettivamente parlate erano altre: il francese in Val d’Aosta e in Piemonte, l’occitano, il lombardo, il friulano ed il tirolese insieme al tedesco; il còrso gallurese (anche in una parte della Sardegna), il siciliano, il romano che era una lingua prima di diventare un dialetto, il napoletano. Dall’altra parte dell’Appennino, addirittura l’albanese, che ci ha lasciato un suo patrimonio musicale specifico (Arbëreshë), e poi cito ancora a caso il croato, il greco, il catalano… (Per una lista più completa: http://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_parlate_in_Italia#Situazione_generale.)

Che confusione! Le situazioni locali di ignoranza diffusa, analfabetismo e illettrismo, di bambini impiegati nella pastorizia e in agricoltura invece di essere scolarizzati, impedirono per tantissimi anni alle popolazioni italiane di uscire dai loro gusci chiusi di culture locali.
La lingua ufficiale, unica, arriva molto tardi. Come il latino, anche l’italiano, di fatto, per moltissimo tempo è parlato da pochi.
Una corrente del cinema italiano, il neorealismo, ci ha lasciato bellissime testimonianze di questo fenomeno. Chi lo ha visto ricorderà con molto gusto il capolavoro "Pane, amore e fantasia" di Luigi Comencini del 1953 (alcune scene su Youtube), storia che mette insieme italiani del nord (il timido Carabiniere Roberto Stelluti, impersonato da Roberto Risso) e del sud (il Maresciallo Carotenuto, interpretato dal magistrale Vittorio De Sica, e la sua vecchia domestica napoletana Caramella, Tina Pica), a San Pietro Romano, villaggio tipico della Ciociaria. Questi personaggi hanno i loro modi di parlare, che talvolta non permettono neanche di capirsi.
Fino a quando è durata questa situazione? Ebbene, nientemeno che fino all’arrivo della televisione nella maggior parte dei caffè, poi delle case italiane, quindi nella seconda metà del XX secolo, e più precisamente verso la metà degli anni Sessanta con il boom economico. Solo questo fenomeno di mediatizzazione globale dei modi di parlare degli italiani è riuscito a produrre una vera e propria socializzazione della lingua. Da quel momento, il toscano vide il suo piedistallo di "lingua ufficiale" sgretolarsi progressivamente fino a lasciare il posto al romano. Ma non al dialetto "romanesco", con tutto il suo lessico peculiare, bensì ad un modo di parlare italiano praticato con l'accento tipico dei romani.

Qual è allora la differenza tra il "romanesco" (lingua o dialetto che sia) e la cosiddetta "parlata" romana? Anzi, più generalmente, che differenza c'è tra una lingua o dialetto locale ed il semplice accento? E poi come distinguere un dialetto da una vera e propria lingua?
Penso che se organizzassimo un dibattito fra linguisti per decidere dove situare lo spartiacque, potremmo farlo durare settimane, mesi, anni.

Accenti


Sapete che vi dico? Lasciamo questi dibattiti agli specialisti ed occupiamoci di capire accenti, dialetti e intonazioni dal semplice punto di vista fenomenologico; in altre parole, cerchiamo di capire cosa dice la gente che parla concretamente con noi. Qui di seguito cercherò di elencare i più importanti fenomeni linguistici di trasformazione della lingua italiana.

ACCENTO: quando sentite parlare qualcuno per più di due minuti di seguito anche in un italiano perfetto, potete dedurre con un'ottima approssimazione qual è la sua provenienza regionale. Le pochissime persone di cui si può dire veramente che non abbiano accento sono quelle che hanno seguito dei corsi di dizione, per esempio per motivi professionali (attori, giornalisti, lavoratori della radio o della televisione, alcuni politici) o che provengono da ambienti sociali particolarmente istruiti. L'accento consiste in primo luogo nell'apertura delle vocali, che è diverso da regione a regione; molto spesso anche certe consonanti vengono pronunciate in un modo particolare; infine c'è la musicalità globale della frase che è spesso inequivocabile.
Tutti questi dettagli, lo ripeto, si manifestano anche se la persona sta leggendo la più neutra delle opere letterarie che si possa immaginare. Come in Francia si può distinguere un parigino da un marsigliese o un tolosano da un lillese, così in Italia si distinguono molto facilmente gli accenti: sardo, siciliano, calabrese, pugliese, napoletano, ciociaro, romano, molisano e abruzzese, toscano e umbro, emiliano e romagnolo, ligure, piemontese, lombardo, triestino... Fate pronunciare una stessa frase ad ognuno, avrete intonazioni, aperture e chiusure vocaliche, particolarità consonantiche, musicalità diverse che vi faranno capire, talvolta in modo solo approssimativo, talvolta con estrema precisione, da quale angolo d'Italia viene la persona che parla.

IL TRONCAMENTO DELLE PAROLE: è un fenomeno chiarissimo nei dialetti dell'Italia centrale, ma che si estende in realtà a tutto il paese. "È ora di andare a mangiare questa minestra" diventerà quasi sempre "è ora d'andà a mangià 'sta minestra". Vengono cioè troncati: 1) la parte finale dei verbi all'infinito e di alcune altre parole, 2) l'inizio di parole come "questo, questa". Talvolta vengono troncati tutti e due gli estremi e viene lasciata solo la parte centrale: in romanesco, "dove" viene dapprima trasformato in "indove", ma vengono immediatamente troncati gli estremi e si dice di fatto "ndo", come nella frase tipica "ma dove vai?" --> "ma ndo' vai?"

DEFORMAZIONE DI PAROLE, SOSTITUZIONE DI LETTERE: Succede in molti dialetti. In romano: ragazzo e ragazzadiventano "regazzo" e "regazza"; in siciliano gran parte dei verbi all'infinito possono vedersi sostituire la E finale da una I (bastare --> bastari). In certi dialetti del nord Italia (milanese, bolognese...) la C dolce (riccio, cigolo, bacio...) può essere pronunciato quasi come una Z (come in francese TZ) e il gruppo SC dolce (sciocco, asciutto...) come SS. In Toscana abbiamo due fenomeni evidentissimi: la C dura è quasi un'H aspirata: provate a far dire ad un toscano "Cocacola calda con la cannuccia corta"...; il secondo fenomeno è il raddoppio di certe consonanti che non dovrebbero essere doppie.

LESSICO SPECIFICO: Questa parte può essere quella in cui va situato il confine tra un dialetto e una lingua. È qui che gioca l'eredità delle diverse lingue parlate in passato. "Ragazzino" è "Guappo" in Sicilia, "Guaglione" a Napoli, "Cittino" in certe parti della Toscana...

Per ora chiudo questa pagina. Se qualcuno ha dei suggerimenti per approfondire faccia dei commenti, oppure mi scriva su gino . erpari @ gmail . com (togliendo gli spazi).



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Approfondimenti:

- A proposito del dialetto in generale:
http://it.wikipedia.org/wiki/Dialetti

- L'italiano, come una parte dei suoi dialetti/lingue, è una lingua romanza:
http://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_romanze

- Che cos'è l'ISO 639: http://it.wikipedia.org/wiki/ISO_639 ed ecco la lista dei suoi standards:
http://www.iso.org/iso/search.htm?qt=639&published=on&active_tab=standards

- Il napoletano:
http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_napoletana

- Lingue parlate in Italia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_parlate_in_Italia

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